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Competitività: l’Italia resta in coda

L’Italia risale al 42° posto nella classifica IMD della competitività mondiale, ma l’efficacia delle politiche governative resta uno dei fattori critici per il nostro Paese. Gli Usa rimangono al primo posto, seguiti da Singapore e Hong Kong. Ecco i fattori che incideranno sulla competitività mondiale nei prossimi quattro decenni.

di Dario Lampa

L’Italia guadagna sei posizioni nella classifica internazione della competitività, salendo dal 48° al 42° posto. Resta però lontana non solo dal primo in classifica (gli Stati Uniti), ma anche da altri Paesi europei come Lussemburgo, Danimarca, Svizzera, Islanda, Paesi Bassi, Svezia (tutti presenti fra i primi dieci in graduatoria) nonché da Austria (11° posto), Irlanda (14°) Germania (16°), Finlandia (17°), Regno Unito (20°), Belgio (25°), Francia (28°) e Spagna (30°). Sono questi i risultati della classifica IMD sulla competitività mondiale del 2007 (IMD World competitiveness yearbook 2007). È dal 1989 che l’IMD (International Institute for Management Development, www.imd.ch/wcc) di Losanna redige questa classifica sulla base di quattro grandi fattori: performance economiche, efficienza del governo, efficienza delle imprese, qualità delle infrastrutture. Ognuno dei suddetti grandi fattori è articolato in una serie di sotto-fattori per un totale di 323 elementi analizzati. Nel 2007 l’indagine IMD ha preso in considerazione la situazione di 55 paesi.

Le priorità italiane
Torniamo alla situazione italiana: secondo Stephane Garelli, direttore di IMD, il recupero rispetto al 2006 dipende “dalle migliori performance economiche registrate lo scorso anno”. Il fattore critico, per l’Italia, è l’efficienza delle politiche governative (‘government efficiency’): in questo parametro siamo al 51° posto. Le sfide per il futuro, sempre secondo Garelli, sono soprattutto le infrastrutture e le riforme, a partire da quella delle pensioni, un “vero e proprio fardello” per l’Italia. Altra priorità: la crescita delle aziende in dimensione e in chiave globalizzazione. Sempre a proposito dell’Italia, è interessante (e anche un po’... sconfortante) rilevare che in Europa ci sono altri Paesi – oltre a quelli prima citati – che ci precedono nella classifica: Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Grecia, Portogallo, Bulgaria…
Allargando il campo all’intero quadro internazionale, gli Usa mantengono il primo posto, ma Singapore e Hong Kong (secondo e terzo posto) si mostrano sempre più competitive. Questo, secondo l’analisi IMD, potrebbe portare a un “aumento delle misure protezionistiche sia in Europa sia negli Stati Uniti”.
Nella tavola 1 è riportata l’intera classifica dei 55 Paesi. La tavola 2 espone l’evoluzione dei singoli Paesi nel periodo 2003-2007 con le posizioni occupate in classifica in ognuno dei cinque anni.
Nella tavola 2 possiamo rilevare, fra l’altro, l’evoluzione della performance della Svizzera, passata dal 9° posto del 2003 al 6° del 2007. L’analisi IMD attribuisce alle aziende svizzere il primo posto della classifica per quanto concerne l’esperienza internazionale e il terzo posto alle voci ‘relazioni sociali’ e ‘motivazione degli impiegati’.

Roadmap della competitività 2007-2050
Il ‘World competitiveness yearbook 2007’ di IMD contiene anche una ‘Competitiveness roadmap 2007-2050’: si tratta di una descrizione dei fattori che incideranno sulla competitività mondiale nei prossimi quattro decenni. Alcuni esempi:
Attrattiva dell’Africa. Il continente africano diventerà un mercato sempre più ambito, grazie agli investimenti in materie prime ed energia. Oltre 700 aziende cinesi già operano in Africa.
Aumento della richiesta di manager nelle economie emergenti. In India, Cina e Brasile cresce la domanda di manager qualificati e l’esigenza di creazione di business schools.
Emersione di una nuova classe media. In Asia, Europa Centrale e America Latina sta aumentando la middle class: più di 600 milioni di nuovi individui negli ultimi sei anni. Questa nuova classe media – con crescenti consumi, anche in beni di lusso – è destinata a raddoppiare ogni sette anni.
Riduzione delle differenze nel costo del lavoro. Con lo sviluppo economico di alcune nazioni si ridurranno drasticamente i gap del costo del lavoro. Gli attuali scostamenti, che presentano un ‘range’ da 1 a 20, si ridurranno a uno da 1 a 5.
Passaggio dal basso costo del lavoro manuale al basso costo del lavoro intellettuale (From cheap manpower to cheap brainpower). La competitività mondiale, oggi largamente basata sui bassi costi di manodopera, si sposterà verso un modello di bassi costi del lavoro intellettuale e qualificato. India, Cina e Russia ‘producono’ insieme, ogni anno, 14 milioni di studenti universitari, una quantità analoga a quella degli Stati Uniti. Questi studenti diventeranno giovani professional, motivati e con pretese economiche ridotte rispetto ai colleghi occidentali. Grazie all’information technology questi cervelli saranno accessibili da qualunque parte del mondo.
Il grande consumo di materie prime in Cina e India. La Cina, per esempio, è oggi responsabile del 19% del consumo mondiale di alluminio, del 20% del rame, del 27% dell’acciaio, del 31% del carbone, del 47% del cemento.
Calo del valore del dollaro. Le quotazioni del biglietto verde continuano a calare e l’euro viene scelto sempre più spesso come moneta da usare nelle transazioni internazionali. Molti paesi emergenti tentano di agganciare la loro valuta nazionale a un ‘paniere’ composto da dollaro, euro e yen.